lunedì 14 marzo 2016

Perchè lo slowmotion?

Ed eccoci ad affrontare il dibattutissimo dilemma che divide in due le arti marziali storiche europee: è meglio tirare alla massima velocità con tutte le protezioni addosso, oppure andare piano indossando solo la maschera e un paio di guantini leggeri?
I sostenitori della prima opzione affermano che non avere la possibilità di andare alla massima velocità e dovere trattenere i colpi equivarrebbe a introdurre troppi artefatti, rendendo di fatto l'incontro inutile.
I fautori della seconda modalità, invece, sostengono che avere troppe protezioni addosso porti a non rispettare più il principio del "toccare senza essere toccati", rendendo di fatto l'incontro altrettanto inutile.

Qual è l'opinione di chi scrive? Come avrete certamente avuto modo di intuire se frequentate il mio canale YouTube, io preferisco di gran lunga la seconda opzione.

Cerchiamo però di analizzare più in dettaglio gli aspetti delle due modalità.
Innanzitutto, dobbiamo porci delle domande alla quali dobbiamo rispondere con estrema sincerità: qual è il nostro obiettivo? Per cosa vogliamo allenarci? Quale tipo di ambiente ed eventi vogliamo frequentare?
Molti potranno optare per la sola componente sportiva/torneistica e in questo caso la scelta è quasi obbligata: dovrete usare il gambeson e tutte le altre protezioni. Altri, come il sottoscritto, potranno invece scegliere un approccio più disinteressato nei confronti delle competizioni e orientarsi invece verso una scherma su base storico-ricostruttiva e verso un percorso totalmente marziale. Infine, c'è chi sceglierà un percorso ibrido fra i due estremi: la maggior parte dei praticanti rientra in questa categoria.

Partiamo dal presupposto che nessuna delle due vie è priva di artefatti. L'allenamento di qualunque arte marziale è di per sé “falso”, in quanto il fine originario di tali arti era quello di uccidere o menomare gravemente le persone. Possiamo però analizzare singolarmente uno o più aspetti della suddetta arte per cercare poi di triangolare la soluzione finale.
A seconda di quali aspetti si vuole tenere in considerazione, si andrà a scegliere la via più adatta.

Personalmente, tengo in considerazione alcuni aspetti volutamente estremi, legati alle origini della scherma e del combattimento in generale. Pur non essendo più reali, ritengo rimangano importanti nell’ottica di una corretta visione marziale della scherma. Tali aspetti sono i seguenti:

  • Quella che sto studiando è un'arte per imparare a difendere la mia vita togliendola a qualcun altro. Questa è una cosa che ogni spadaccino dovrebbe tenere sempre a mente. Possiamo dipingerla con belle parole, ma questa rimane "un'arte mortifera e omicida". Il fatto di sguainare la mia arma indica che tutto quello che si poteva fare per evitarlo è fallito e sono costretto a imporre la mia estrema volontà, ovvero la sopravvivenza, a discapito di quella di qualcun altro.
  • L'oggetto che io e il mio avversario abbiamo in mano è un'arma e come tale devo considerarla. Quando colpisco o vengo colpito, una persona muore.
Tenendo in considerazione ciò, mi rifaccio al principio di "toccare senza essere toccato". Colpire il mio avversario ma rimanere colpito a mia volta è un controsenso. Arrischiarsi a colpire senza avere la relativa (e dico relativa perchè esistono variabili quasi illimitate) certezza di uscirne indenne, è un controsenso. Se il mio avversario avesse in mano una spada affilata lo farei? Rischierei con leggerezza di essere colpito, magari con conseguenze mortali? Di solito la risposta è NO. 

Come si fa dunque a rispettare questi principi per apprendere l'arte della scherma? La risposta è: imparando a conoscerla. Per poter affrontare un combattimento al meglio, è imperativo conoscerne i principi e le tecniche in maniera approfondita. Originariamente quest'arte non si poteva imparare “sul campo”, scontro dopo scontro, perché perderne uno avrebbe significato la morte. Se ne deduce quindi che l’apprendimento vero e proprio dovesse essere ristretto all’allenamento. Tornando ai giorni nostri, quindi, risulta difficile pensare di potere “testare le tecniche” in torneo, ossia in quel momento che idealmente dovrebbe rispecchiare il duello. Non si può fare affidamento sul caso o sulla fortuna: queste sono caratteristiche del gioco, non dell'arte.
Il modo migliore per imparare la scherma è praticarla discostandosi il meno possibile dalla sua forma reale: idealmente, quindi bisognerebbe praticarla senza nessuna protezione e con armi affilate. Vivendo però nel XXI secolo e in una società radicalmente diversa, ci occorre un minimo di sicurezza: maschera da scherma e spade non affilate, almeno fino a determinati livelli di abilità (così come avviene in discipline orientali come lo iaido, dove la katana affilata è ammessa a partire dal III dan).
Se, come abbiamo detto, la sopravvivenza dipende dalla mia abilità tecnica, è questa che devo allenare: quindi non la mia velocità, la mia esplosività o la resistenza, ma il gesto, la fine abilità motoria, la precisione e la compostezza con la quale eseguo la mia azione schermistica. 
Queste abilità possono essere apprese solo entrando in una relazione profonda con lo strumento che usiamo, che diventa quindi estensione diretta del proprio corpo. 

A questi aspetti se ne collega un altro importantissimo: il controllo. Controllo significa avere sviluppato una sensibilità particolare, che mi permette di gestire il mio strumento sotto ogni aspetto e con il giusto grado di forza. Viene da sé che queste abilità non possono essere apprese nel corso di breve tempo, ma richiedono letteralmente anni per giungere a perfezionamento. Per imparare, bisogna eseguire i gesti lentamente, in modo che i nostri muscoli imparino ad abituarsi al gesto, che lo facciano proprio, di modo che il nostro cervello passi gradualmente dal pensare all'azione che stiamo eseguendo, all'agire senza pensare. Sono i cosiddetti “schemi motori”, studiati anche in fisiologia. Per usare un esempio abbastanza calzante: quando un giovane cuoco va a scuola di cucina, vede il suo insegnante affettare una carota con un coltello affilatissimo in maniera precisissima e con la lama che passa vicinissima alle dita, andando però a produrre decine e decine di fette tagliate alla perfezione. Per imparare dovrà affettare centinaia di carote nel corso degli anni, cominciando alla velocità con la quale produce delle fette presentabili senza però perdere le dita. Col passare dei mesi e degli anni, lui continuerà a ripetere lo stesso gesto, che arriverà a eseguire inconsciamente.
Questa forse è la più grande incomprensione riguardo il cosiddetto “slow motion”: i detrattori pensano che sia un gesto fine a se stesso, perché "tanto è solo un gioco, se andassimo più veloce non riuscirei a reagire in tempo"... Ovvio! Perché non si è ancora in grado! Per fare un'analogia: se fossimo dei piloti, nessuno si sognerebbe di fare due giri su una normale Panda da scuola guida e poi passare su una formula uno. Occorrono anni e anni di formazione, di abitudine, finché i gesti che riuscivamo a fare solo lentamente, senza accorgersene diverrano sempre più veloci. Noi non percepiremo subito la differenza di velocità nei nostri gesti, ma chi da fuori ci osserva non riuscirà a capire come possiamo essere così rapidi.
Chiedete a un musicista, un vero musicista, quante ore, giorni, mesi ha passato a fare le scale con il metronomo a ritmo lento. Non penso che troverete mai qualcuno che sia passato in una giornata da 10 a 100.

Questo, a mio avviso, è attualmente il grosso problema dell'hema: tutti hanno fretta di cimentarsi in incontri, tornei, sfide, ma quanti di essi ne sarebbero all'altezza? Vogliamo tutti passare dalla scuola guida alla formula uno senza essersi fatti cinque o sei anni sui kart, formule minori, gp3, gp2, scuola piloti F1 e tutti gli ulteriori passaggi intermedi. O, passando alle analogie culinarie, affettare la carota affidandosi alla protezione di un guanto di maglia e percuotendo il tagliere con movimenti velocissimi ma inevitabilmente imprecisi.

Quindi, per tornare all'argomento originario: è vero, lo slow motion porta con sé un sacco di artefatti, e sì, non è “la scherma”, ma a mio avviso è il migliore strumento che abbiamo a disposizione come marzialisti per migliorare noi stessi.
D'altro canto, la scherma full speed conta altrettanti artefatti e per certi versi si discosta in maniera molto "peggiore" dalla “Vera scherma”, in quanto porta alla non conservazione di se stessi. Se, poi, la necessità di non farsi male e quindi coprirsi di protezioni diventa un pretesto per non avere il controllo dell’arma, si ricade nuovamente in un grave artefatto. Sono considerazioni che ho maturato avendo avuto a che fare sia con realtà sportive che puramente marziali, sia nell’ambito della arti orientali che occidentali.

Un altro argomento a favore dell'approccio in slow motion è il seguente: per un bravo schermidore "lento", è molto facile la transizione al full speed. Deve semplicemente "togliere" alcuni dei meccanismi che ha acquisito e limitarsi alle abilità motorie di base. Al contrario, uno schermidore abituato a tirare quasi esclusivamente con le protezioni addosso, mancherà delle competenze e delle fini abilità motorie necessarie al combattimento senza protezioni. Quindi lo slow motion porta, in fin dei conti, solo vantaggi.

Con questo non si vuole dire che dedicarsi alla scherma storica in chiave puramente sportiva presenti solo svantaggi. L’approccio sportivo puro trova la sua applicazione reale nell’ambiente della competizione stessa. È quanto avviene, per esempio, negli sport da combattimento (da non confondere con le arti marziali cosiddette tradizionali), come la boxe, il taekwondo olimpico e anche la scherma moderna. In questi casi, per allenarsi al meglio bisogna ricreare le stesse condizioni dell’applicazione sportiva: stesso equipaggiamento, stesso regolamento, condizione di parità fra i due contendenti etc. Le hema, però, al momento, appaiono ancora “immature” sotto questo punto di vista. Infatti non esistono, attualmente, regolamenti universalmente accettati, né una divisione in gradi più o meno oggettiva. Paragonando il tutto ad altre discipline, potremmo dire che in questo modo si rischia di mandare una squadra di calcio di paese a giocare contro una di serie A, oppure fare combattere un quarto dan di karate contro una cintura arancione. La gara, infatti, permette di valutare il proprio grado di apprendimento solo se l’abilità dell’avversario è comparabile alla propria. Del resto, la nostra disciplina è ancora molto giovane. Ci sono anche alcune realtà che si stanno muovendo per creare circuiti di gare tenendo presente questo principio.

Tornando al dibattito originario, fra approccio marziale e sportivo nelle hema, personalmente temo che volere fondere i due percorsi non porti a grandi risultati in nessuna delle due direzioni. Un allenamento “a metà” rischia di rivelarsi fallace sia per l’approccio marziale che per quello sportivo. Ritengo quindi più produttivo scegliere il proprio obiettivo in una sola delle due vie e allenarsi con gli strumenti che le sono propri. Poi, naturalmente, nulla vieta di cimentarsi all’occasione nell’altra via, per curiosità, per divertimento o per qualunque altra ragione, ma consapevoli che si potrà risultare meno performanti di chi vi si dedica a tempo pieno.

Fabio Serraglio

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