Ed eccoci ad
affrontare il dibattutissimo dilemma che divide in due le arti marziali
storiche europee: è meglio tirare alla massima velocità con tutte le protezioni
addosso, oppure andare piano indossando solo la maschera e un paio di guantini
leggeri?
I sostenitori
della prima opzione affermano che non avere la possibilità di andare alla
massima velocità e dovere trattenere i colpi equivarrebbe a introdurre troppi
artefatti, rendendo di fatto l'incontro inutile.
I fautori della
seconda modalità, invece, sostengono che avere troppe protezioni addosso porti
a non rispettare più il principio del "toccare senza essere toccati",
rendendo di fatto l'incontro altrettanto inutile.
Qual è
l'opinione di chi scrive? Come avrete certamente avuto modo di intuire se frequentate
il mio canale YouTube, io preferisco di gran lunga la seconda opzione.
Cerchiamo però
di analizzare più in dettaglio gli aspetti delle due modalità.
Innanzitutto, dobbiamo
porci delle domande alla quali dobbiamo rispondere con estrema sincerità: qual
è il nostro obiettivo? Per cosa vogliamo allenarci? Quale tipo di ambiente ed
eventi vogliamo frequentare?
Molti potranno
optare per la sola componente sportiva/torneistica
e in questo caso la scelta è quasi obbligata: dovrete usare il gambeson e tutte
le altre protezioni. Altri, come il sottoscritto, potranno invece scegliere un
approccio più disinteressato nei confronti delle competizioni e orientarsi
invece verso una scherma su base
storico-ricostruttiva e verso un percorso totalmente marziale.
Infine, c'è chi sceglierà un percorso ibrido
fra i due estremi: la maggior parte dei praticanti rientra in questa categoria.
Partiamo dal
presupposto che nessuna delle due vie è priva di artefatti. L'allenamento di
qualunque arte marziale è di per sé “falso”, in quanto il fine originario di
tali arti era quello di uccidere o menomare gravemente le persone. Possiamo
però analizzare singolarmente uno o più aspetti della suddetta arte per cercare
poi di triangolare la soluzione finale.
A seconda di
quali aspetti si vuole tenere in considerazione, si andrà a scegliere la via
più adatta.
Personalmente,
tengo in considerazione alcuni aspetti volutamente estremi, legati alle origini
della scherma e del combattimento in generale. Pur non essendo più reali,
ritengo rimangano importanti nell’ottica di una corretta visione marziale della
scherma. Tali aspetti sono i seguenti:
- Quella che sto studiando è un'arte per imparare a difendere la mia vita togliendola a qualcun altro. Questa è una cosa che ogni spadaccino dovrebbe tenere sempre a mente. Possiamo dipingerla con belle parole, ma questa rimane "un'arte mortifera e omicida". Il fatto di sguainare la mia arma indica che tutto quello che si poteva fare per evitarlo è fallito e sono costretto a imporre la mia estrema volontà, ovvero la sopravvivenza, a discapito di quella di qualcun altro.
- L'oggetto che io e il mio avversario abbiamo in mano è un'arma e come tale devo considerarla. Quando colpisco o vengo colpito, una persona muore.
Come
si fa dunque a rispettare questi principi per apprendere l'arte della scherma?
La risposta è: imparando a conoscerla.
Per poter affrontare un combattimento al meglio, è imperativo conoscerne i
principi e le tecniche in maniera approfondita. Originariamente quest'arte non
si poteva imparare “sul campo”, scontro dopo scontro, perché perderne uno
avrebbe significato la morte. Se ne deduce quindi che l’apprendimento vero e
proprio dovesse essere ristretto all’allenamento. Tornando ai giorni nostri,
quindi, risulta difficile pensare di potere “testare le tecniche” in torneo,
ossia in quel momento che idealmente dovrebbe rispecchiare il duello. Non si
può fare affidamento sul caso o sulla fortuna: queste sono caratteristiche del
gioco, non dell'arte.
Il
modo migliore per imparare la scherma è praticarla discostandosi il meno
possibile dalla sua forma reale: idealmente, quindi bisognerebbe praticarla
senza nessuna protezione e con armi affilate. Vivendo però nel XXI secolo
e in una società radicalmente diversa, ci occorre un minimo di sicurezza:
maschera da scherma e spade non affilate, almeno fino a determinati livelli di
abilità (così come avviene in discipline orientali come lo iaido, dove la
katana affilata è ammessa a partire dal III dan).
Se,
come abbiamo detto, la sopravvivenza dipende dalla mia abilità tecnica, è questa che devo allenare: quindi non la
mia velocità, la mia esplosività o la resistenza, ma il gesto, la fine abilità
motoria, la precisione e la compostezza con la quale eseguo la mia azione
schermistica.
Queste
abilità possono essere apprese solo entrando in una relazione profonda con lo
strumento che usiamo, che diventa quindi estensione diretta del proprio
corpo.
A
questi aspetti se ne collega un altro importantissimo: il controllo. Controllo significa avere sviluppato una
sensibilità particolare, che mi permette di gestire il mio strumento sotto ogni
aspetto e con il giusto grado di forza. Viene da sé che queste abilità non
possono essere apprese nel corso di breve tempo, ma richiedono letteralmente
anni per giungere a perfezionamento. Per imparare, bisogna eseguire i gesti
lentamente, in modo che i nostri muscoli imparino ad abituarsi al gesto, che lo
facciano proprio, di modo che il nostro cervello passi gradualmente dal pensare
all'azione che stiamo eseguendo, all'agire senza pensare. Sono i cosiddetti “schemi
motori”, studiati anche in fisiologia. Per usare un esempio abbastanza
calzante: quando un giovane cuoco va a scuola di cucina, vede il suo insegnante
affettare una carota con un coltello affilatissimo in maniera precisissima e
con la lama che passa vicinissima alle dita, andando però a produrre decine e
decine di fette tagliate alla perfezione. Per imparare dovrà affettare
centinaia di carote nel corso degli anni, cominciando alla velocità con la
quale produce delle fette presentabili senza però perdere le dita. Col passare
dei mesi e degli anni, lui continuerà a ripetere lo stesso gesto, che arriverà
a eseguire inconsciamente.
Questa
forse è la più grande incomprensione riguardo il cosiddetto “slow motion”: i detrattori pensano che sia un gesto
fine a se stesso, perché "tanto è solo un gioco, se andassimo più veloce
non riuscirei a reagire in tempo"... Ovvio! Perché non si è ancora in
grado! Per fare un'analogia: se fossimo dei piloti, nessuno si sognerebbe di
fare due giri su una normale Panda da scuola guida e poi passare su una formula
uno. Occorrono anni e anni di formazione, di abitudine, finché i gesti che
riuscivamo a fare solo lentamente, senza accorgersene diverrano sempre più
veloci. Noi non percepiremo subito la differenza di velocità nei nostri gesti,
ma chi da fuori ci osserva non riuscirà a capire come possiamo essere così
rapidi.
Chiedete
a un musicista, un vero musicista, quante ore, giorni, mesi ha passato a fare
le scale con il metronomo a ritmo lento. Non penso che troverete mai qualcuno
che sia passato in una giornata da 10 a 100.
Questo,
a mio avviso, è attualmente il grosso problema dell'hema: tutti hanno fretta di
cimentarsi in incontri, tornei, sfide, ma quanti di essi ne sarebbero
all'altezza? Vogliamo tutti passare dalla scuola guida alla formula uno senza
essersi fatti cinque o sei anni sui kart, formule minori, gp3, gp2, scuola
piloti F1 e tutti gli ulteriori passaggi intermedi. O, passando alle analogie
culinarie, affettare la carota affidandosi alla protezione di un guanto di
maglia e percuotendo il tagliere con movimenti velocissimi ma inevitabilmente imprecisi.
Quindi,
per tornare all'argomento originario: è vero, lo slow motion porta con sé un
sacco di artefatti, e sì, non è “la scherma”, ma a mio avviso è il migliore
strumento che abbiamo a disposizione come marzialisti per migliorare noi stessi.
D'altro
canto, la scherma full speed conta altrettanti artefatti e per certi versi si
discosta in maniera molto "peggiore" dalla “Vera scherma”, in quanto
porta alla non conservazione di se stessi. Se, poi, la necessità di non farsi
male e quindi coprirsi di protezioni diventa un pretesto per non avere il
controllo dell’arma, si ricade nuovamente in un grave artefatto. Sono
considerazioni che ho maturato avendo avuto a che fare sia con realtà sportive
che puramente marziali, sia nell’ambito della arti orientali che occidentali.
Un
altro argomento a favore dell'approccio in slow motion è il seguente: per un
bravo schermidore "lento", è molto facile la transizione al full
speed. Deve semplicemente "togliere" alcuni dei meccanismi che ha
acquisito e limitarsi alle abilità motorie di base. Al contrario, uno
schermidore abituato a tirare quasi esclusivamente con le protezioni addosso,
mancherà delle competenze e delle fini abilità motorie necessarie al
combattimento senza protezioni. Quindi lo slow motion porta, in fin dei conti,
solo vantaggi.
Con
questo non si vuole dire che dedicarsi alla scherma storica in chiave puramente
sportiva presenti solo svantaggi. L’approccio sportivo puro trova la sua
applicazione reale nell’ambiente della competizione stessa. È quanto avviene,
per esempio, negli sport da combattimento
(da non confondere con le arti marziali cosiddette tradizionali), come la boxe,
il taekwondo olimpico e anche la scherma moderna. In questi casi, per allenarsi
al meglio bisogna ricreare le stesse condizioni dell’applicazione sportiva: stesso
equipaggiamento, stesso regolamento, condizione di parità fra i due contendenti
etc. Le hema, però, al momento, appaiono ancora “immature” sotto questo punto
di vista. Infatti non esistono, attualmente, regolamenti universalmente
accettati, né una divisione in gradi più o meno oggettiva. Paragonando il tutto
ad altre discipline, potremmo dire che in questo modo si rischia di mandare una
squadra di calcio di paese a giocare contro una di serie A, oppure fare
combattere un quarto dan di karate contro una cintura arancione. La gara,
infatti, permette di valutare il proprio grado di apprendimento solo se l’abilità
dell’avversario è comparabile alla propria. Del resto, la nostra disciplina è
ancora molto giovane. Ci sono anche alcune realtà che si stanno muovendo per
creare circuiti di gare tenendo presente questo principio.
Tornando
al dibattito originario, fra approccio marziale e sportivo nelle hema, personalmente
temo che volere fondere i due percorsi non porti a grandi risultati in nessuna delle
due direzioni. Un allenamento “a metà”
rischia di rivelarsi fallace sia per l’approccio marziale che per quello
sportivo. Ritengo quindi più produttivo scegliere il proprio obiettivo in una
sola delle due vie e allenarsi con gli strumenti che le sono propri. Poi,
naturalmente, nulla vieta di cimentarsi all’occasione nell’altra via, per
curiosità, per divertimento o per qualunque altra ragione, ma consapevoli che
si potrà risultare meno performanti di chi vi si dedica a tempo pieno.
Fabio
Serraglio